sabato 27 ottobre 2012

04*POST

Riporto un post tratto da Facebook (autore Mauro Buccheri), lo cito tra virgolette (e mi chiedo anche: come mai si insiste ad utilizzare solo quel canale per dirsi le cose?) perché siano chiare tutte le posizioni in merito alla questione per cui è stato aperto questo blog: "Se vogliamo fare “sapere” al Paese che noi insegnanti lavoriamo più di 18 ore (perché questo mi sembra uno degli obiettivi dell'iniziativa partita ieri), se vogliamo spiegare questa verità, assolutamente evidente per i docenti ma sconosciuta a gran parte dei non addetti ai lavori, credo che non dobbiamo provare a raggiungere questo obiettivo per vie burocratiche (anche perché non so quanto riusciremmo a convincere in tal senso un'opinione pubblica notoriamente depistata dall'alto). Se vogliamo cambiare la cattiva immagine della categoria diffusa a regola d'arte in questi anni dalle classi dirigenti di questo Paese (con un contributo non indifferente della stessa categoria, bisogna riconoscerlo) credo che dobbiamo farlo sul campo, e dare la prova di forza nei fatti piuttosto che attraverso proposte francamente assurde a mio avviso, come quella della “riscrittura del contratto di lavoro che quantifichi tutte le ore lavorate: dentro e fuori dalla scuola”. Una proposta che trovo assurda sia sul piano teorico, in quanto implica una tendenza aziendalista che mi sembra andare tutt'altro che controcorrente, sia sul piano pratico, dato che la quantità di lavoro che il singolo e irripetibile insegnante svolge a casa per ovvi motivi non può essere standardizzato o quantificato. Dare un segnale di forza come categoria vuol dire ricompattarsi nella lotta contro la deriva del sistema scolastico in atto, vuol dire opporsi radicalmente non solo all'ipotetico aumento delle ore di lavoro per docente (che sarebbe la pietra tombale sul precariato e sulla scuola stessa), ma anche alle Apree di turno e ai relativi tentativi di aziendalizzazione e privatizzazione delle scuola pubblica (e l'iniziativa di ieri in tal senso non mi pare proprio andare in questa direzione), così come vuol dire opporsi allo smantellamento del contratto collettivo nazionale di categoria (esigenza anche questa poco recepita da qual che mi pare di capire nell'iniziativa promossa ieri). Tutto questo è l'esatto opposto del fare la “guerra fra poveri”. Mi sembra poi contraddittorio che da un lato ci si lamenti – giustamente – della debolezza e dell'apatìa della categoria, e dall'altro si auspichi la costituzione di un “coordinamento nazionale che elabori dal basso” delle soluzioni. Per quanto riguarda i “sindacati”, è vero che i sindacati maggiormente “rappresentativi” solo dopo quattro anni si stanno decidendo a indire uno sciopero generale (di facciata quanto inutile) ed è ancora più vero che questi sindacati hanno contribuito attivamente ad affondare il Paese e la scuola pubblica. Il fatto che siano i sindacati più “rappresentativi” la dice lunga sulla difficoltà della categoria, su cui giustamente riflettiamo, ma non dobbiamo nemmeno fare l'errore di generalizzare e di cadere nel qualunquismo. 
Esiste infatti un sindacalismo di base, oggi in crescita di consenso e di risultati, che continua a contrastare la deriva in atto, opponendosi ai governi e ai sindacati filogovernativi, un sindacalismo di base che recupera la ragion d'essere del sindacato, strumento essenziale storicamente nella lotta dei lavoratori. Non è con lo spontaneismo o con la “rottamazione” aprioristica a mio avviso che si fanno passi avanti. Va bene rottamare ciò che non serve, o che addirittura risulta controproducente (il collaborazionismo), ma di un sindacato di base conflittuale che organizzi e raccordi le lotte sacrosante dei lavoratori sul territorio credo ci sia assoluta necessità. E il sindacato conflittuale è il sindacato dei lavoratori, non dei burocrati, è il sindacato di quelli che – giusto per riferirmi al nostro comparto – “conoscono la scuola”."

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